In dono a Maria Beatrice d'Este per festeggiare i vent'anni di nozze

la rotonda vista dal rosetoFu il Piermarini a ideare ed eseguire la Rotonda creandola con l'usato senso pratico e con la sua inesauribile dovizia di risorse come un semplice rigonfiamento semicircolare nei muri esterni delle serre all'angolo del palazzo. Fu invece Andrea Appiani a decorarne volte e pareti con un ciclo di affreschi che narrano, in nove campi, la storia di Amore e Psiche.
La rotonda, edificio a pianta circolare che si attesta, quasi a cerniera, tra il lungo braccio dell'orangerie e l'ala subalterna delle cucine, era collegata alla villa con una galleria di ben 263 braccia milanesi; l'accesso avveniva attraverso due passaggi mascherati da grandi porte a specchi, che scorrevano grazie ad un ingegnoso meccanismo. Agli estremi opposti un'ampia finestra e un sontuoso camino di alabastro caratterizzavano questo spazio che si configurava come un vero e proprio salotto.

Anche questo prezioso ambiente subì le alterne vicende storiche della villa, vedendo periodi di profondo oscurantismo.
Privata del "cordone ombelicale" che la lega alla villa e del grande camino, forata lungo l'asse nord-sud, la Rotonda perse definitivamente la funzione originaria declassandosi a semplice ambito di accesso, anche carraio, dal retrostante giardino alla corte principale. La mancata manutenzione del meccanismo di scorrimento delle grandi porte a specchi impedì per lunghi anni il collegamento con l'orangerie.

Una serie di interventi, condotti a partire dagli anni '80, ha però consentito di rivalutare questo splendido gioiello. Restaurato il ciclo pittorico dell'Appiani, eliminati i "trottatoi" di beola che segnavano il nuovo asse di penetrazione, recuperata la quota originale del pavimento - rifatto sulla base della documentazione esistente - rispristinato il meccanismo che consente alla porta di scorrere, la Rotonda ha riacquistato la dignità che le era consona, recuperando, almeno, il rapporto con l'attiguo Serrone.

Galleria fotografica degli interni.

La storiografia narra di un'organizzazione scenica preparata dal Piermarini per festeggiare l'anniversario di nozze degli arciduchi. Dopo un sontuoso pranzo, Ferdinando accompagnò, attraverso la lunga galleria, la sua sposa e gli ospiti ad ammirare l'opera pittorica che per l'occasione aveva commissionato all'Appiani e che l'artista aveva in gran fretta ultimato. Lì giunti, la porta a specchi scomparve come per incanto e la scena mostrò una "brillantissima festiva adunanza, con due scelte orchestre, una militare e l'altra civica, chiamate dalla vicina metropoli e ivi a tal uopo silenziosamente paratesi". Ad una tavola riccamente imbandita erano sedute trentasei coppie di sposi vestite "all'antica foggia lombarda... tutto era bello, tutto era ricco, magnifico. Doppieri, luminarie in grandissima quantità, e le avvenenti spose ivi radunate, in dolce ed aerea cantilena intonarono un grazioso inno accompagnato da 12 violoncelli". Fu tale la sorpresa che Maria Beatrice d'Este pianse lacrime di gioia e commozione, restando a godere quell'inusuale spettacolo sino all'alba del giorno seguente.